mercoledì 21 dicembre 2011

Metafore

Pensieri gettati su un pezzo di carta qualche tempo fa

La mia storia con l'Italia è un po' come una storia d'amore. Una storia finita di recente con tutti gli strascichi che ciò comporta. Ancora un tira e molla. Quella fase in cui la testa razionalmente sa che è finita, ma il cuore non riesce ancora ad accettarlo. Quella fase incerta in cui non puoi ancora sapere quanto tempo ti ci vorrà per superarlo. Se lo supererai. Perché credi ancora che non ci sia niente e nessuno di simile che lo possa sostituire. Quella fase in cui sai che devi tagliare i ponti per non soffrire troppo, ma ancora non ne sei capace e non sai neanche se è la cosa giusta da fare.

L'Ungheria è un'altra cosa. E' il mio paese. Fa parte di me. Visceralmente ed irreversibilmente. E' come un genitore per me. Mi ha dato la vita. So che ci posso sempre contare. So che ci posso sempre tornare e mi aspetta a braccia aperte. Da un genitore puoi passare distante anche tanti anni, anche tutta la vita, e ti aspetterà sempre. Fa parte di te. Visceralmente. Irreversibilmente.

L'amore è un'altra cosa. Ti può abbandonare. Ti può fare del male. L'Italia non è stata amore a prima vista per me. Per niente. All'inizio non mi sentivo a casa. Mi sentivo un'estranea che non capiva tante cose, che non parlava bene la lingua, che non vedeva l'ora di tornare a casa. Si è fatta scoprire pian piano e mi ha fatto innamorare. Forse sono proprio questi gli amori che durano tutta la vita. Non un colpo di testa, ma un amore profondo per qualcuno che conosci bene. Conosci bene anche i suoi difetti e le sue debolezze.

Come descrivere invece il mio rapporto con la Svezia? E' un po' come sposare un uomo che ti dà la stabilità e lo status che hai sempre sognato, ma di cui non sei innamorata. Che ti colpisce razionalmente, ma che non ti fa battere forte il cuore. Chissà però se col tempo, conoscendola meglio, non mi farà innamorare anche lei...

Concludo con una canzone meravigliosa. (Questa volta non ungherese però.)


Love hurts,
Love scars,
Love wounds and mars
Any heart not tough or strong enough
To take a lot of pain, take a lot of pain
Love is like a cloud, it holds a lot of rain
Love hurts,
love hurts.

I'm young,
I know,
But even so
I know a thing or two, I learned from you
I really learned a lot, really learned a lot
Love is like a flame It burns you when it's hot
Love hurts,
love hurts.

Some fools think
Of happiness, blissfulness, togetherness
Some fools fool themselves, I guess
They're not foolin' me
I know it isn't true I know it isn't true
Love is just a lie made to make you blue
Love hurts, 
love hurts.
I know it isn't true
I know it isn't true
Love is just a lie made to make you blue
Love hurts...

sabato 17 dicembre 2011

Un salto in Italia - Impressioni

Sono stata a Trento due giorni per un seminario.

Pensavo di tornare nel paese della luce, invece mi sono scordata che venivo nella Pianura Padana. Mi aspettava la nebbia. Anzi, il tassista mi ha corretto, la foschia. Non nebbia, perché problemi di visibilità non ce ne erano, solo quella cappa fitta nel cielo invece di sole e di azzurro. Questo almeno a Verona dove sono atterrata. A Trento la situazione era già meglio.

Da due mesi che non lasciavo la Svezia. Che gioia sentir parlare italiano intorno a me, poter fare due chiacchere con chiunque, capire subito tutto, riuscire ad esprimermi liberamente e spontaneamente in più di cinque sillabe...

Mi ha aspettato un paese colpito dagli omicidi razzisti di Firenze, commessi proprio sotto casa mia. Cioè sotto l'ultima casa che abbiamo avuto a Firenze. Prima di trasferirmi in Svezia abitavo in piazza Dalmazia. Adoravamo vivere in quella zona, non mancava niente. Una piazza ben servita, piena di negozi, un cinema, un locale rinomato, un lampredottaio, una buona pizzeria, un piccolo mercato tutte le mattine. In quel mercatino ci sono passata mille volte...

Mi ha aspettato anche uno sciopero generale venerdì. Proprio il giorno in cui dovevo tornare all'aeroporto di Verona. Fino alle 17 non passava nessun treno. Meno male un collega veronese mi ha gentilmente accompagnata in macchina.

Giovedì, prima dell'inizio del seminario, ho avuto un'ora libera. Ne ho approfittato per andare a vedere il mercatino di Natale. Quante cosette deliziose. Per pranzo ho preso un succo di mela caldo e un panino con porchetta. Né il pane né la porchetta non c'entravano niente con quelli del Centro Italia. Ho visto un ragazzo (italianissimo) mettere mezzo chilo di maionese sulla porchetta.

Al ritorno, all'aeroporto di Monaco (di Baviera) gli svedesi erano facilmente riconoscibili. Erano quelli con una busta trasparente in mano con un paio di bottiglie di alcolici dentro.

Ora eccomi di nuovo nel paese del buio. Non che in Italia ci sia stata tutta questa luminosità però, diciamocelo... Giovedì prossimo si riparte per le feste.

sabato 10 dicembre 2011

Comprare una macchina (usata) in Svezia

Forse vi ricordate il post sulla ricerca di una nuova macchina e i precedenti. L'abbiamo trovata! Alla fine non è una di quelle tre su cui avevo chiesto il vostro consiglio (e non ne ho ricevuto nessuno), ma una quarta. E' una C3 superaccessoriata del 2009 con soltanto 11 mila km. Siccome è stata la prima volta che ho comprato una macchina in Svezia (dopo una lunga procedura di registrazione della mia macchina ungherese distrutta da quel *!y%<@ vecchietto un tranquillo sabato pomeriggio), ho avuto anche l'occasione di scoprire come funziona il mercato svedese dell'usato... E per tutti i fastidi avuti con le procedure legate all'immigrazione e al personnummer, ti rifai con l'efficienza e la semplicità delle procedure in altri ambiti, come la compravendita delle auto.

La nostra nuova macchinina sotto la prima nevicata dell'anno, 
mercoledì scorso

Come avevo già menzionato, abbiamo usato il mitico Blocket.se che è anche un ottimo strumento per una ricerca di mercato. Salta subito all'occhio la dominanza della Volvo, marchio svedese per eccellenza. Nella nostra regione su 5 mila macchine in vendita più di 800 sono Volvo. Questo significa quasi un quinto del mercato. Un po' meno popolare l'altra marca svedese, la Saab (con 300 macchine in vendita nella regione di Örebro). L'altra cosa più evidente è la predominanza delle macchine di grossa cilindrata. Questo si capisce subito anche semplicemente guardandosi intorno. Per dirla con i numeri, di queste 5000 macchine in vendita soltanto 270 hanno meno di 80 cavalli! Qui certo lo spazio non manca, ma io ho sempre avuto una certa avversione nei confronti delle macchine grosse che mi sembrano più dei treni che delle macchine...

Presa dalla curiosità, esaminando il database di questo sito, ho scoperto che in un mio post scritto un anno fa avevo torto. Scrivendo che qui la macchina non è uno status symbol (che è forse vero), ho anche scritto che si vedono poche Mercedes in giro. Insomma, questo non è vero. Ce ne sono tantissime. Dopo la Volvo e la Volkswagen è la marca più venduta, ha lo stesso share di mercato della Saab, almeno nella nostra regione. Dunque le macchine tedesche sono quelle più popolari, la BMW segue quasi di pari passo la Mercedes, mentre la Opel è un po' indietro. Poi vengono la Ford, le macchine giapponesi (Toyota, Hyundai, Mitsubishi e Nissan) e quelle francesi (Peugeot e Renault prima di tutte). Pochissime Fiat e, stranamente, pochissime Alfa Romeo. E, nonostante sia una marca giapponese, poche Suzuki. Siccome la nostra macchinina distrutta era una Suzuki Swift (che del resto si fabbrica in Ungheria, quindi nel mio paese è parecchio venduta), ho notato subito che sarebbe stato difficile trovarne un'altra uguale. Allora durante una visita a un concessionario di Citroen che vendeva anche Suzuki ho chiesto al venditore come mai ci fossero così poche Suzuki in giro. La risposta era che è perché la Suzuki non produce macchine di grossa cilindrata, quindi non è molto conosciuta in Svezia... E' evidente che qui la Smart serve a ben poco, ma non vedo neanche tutta questa esigenza di macchine grosse... Allo stesso tempo immagino che nella capitale il discorso cambi. Magari la prossima volta che andiamo a Stoccolma ci farò più caso.

Detto questo volevo raccontarvi delle procedure burocratiche da seguire per acquistare una macchina usata. In realtà c'è poco da raccontare. La cosa è semplicissima e velocissima. Abbiamo scelto la macchina e il giorno dopo è stata nostra. L'abbiamo pagata con carta di credito e il concessionario ci ha sistemato l'assicurazione entrando nel database delle compagnie di assicurazione con una propria password, in modo che l'assicurazione fosse subito valida e potessimo subito circolare. Dopo una settimana ci sono arrivati a casa due bollettini da pagare: uno dell'assicurazione e uno per il bollo.

Infine, un'ultima cosa assolutamente da raccontare che ci ha entusiasmato: l'incredibile trasparenza dell burocrazia svedese. Si sa che questo è un paese trasparente, ma continua a sorprenderci, perché non si finisce mai di scoprire fino a che punto. Sul sito del Transportstyrelsen, l'autorità responsabile dei trasporti, sono reperibili tutti i dati di tutte le macchine immatricolate in Svezia. In base al numero della targa puoi accedere (qui) a dati come nome e cognome del proprietario, anno di produzione e di immatricolazione, caratteristiche tecniche (a volte perfino il consumo medio), data dell'ultima revisione, costo del bollo e il numero dei proprietari precedenti. Per fax si può richiedere anche i dati degli ultimi due proprietari precedenti a quello attuale. Così abbiamo fatto noi con tutte le macchine potenzialmente interessanti che siamo andati a provare.


La canzone ungherese in appendice

Dopo alcune canzoni tristi è arrivato il momento di farvi sentire anche una allegra, se no pensate che gli ungheresi sanno fare soltanto musica lagnosa... :) I Beatrice (leggasi come in italiano), una rockband degli anni Ottanta, hanno una canzone molto simpatica che si è soliti urlare cantare in coro alle feste studentesche. E' una specie di "anti-canzoned'amore". Vi traduco il testo, così capite perché.

Ah dimenticavo... pure i Beatrice furono bannati dal regime, tanto per cambiare.

Beatrice - Azok a boldog szép napok

 Quei bei giorni felici

Ormai è solo un ricordo
Quando ancora non c'eri.
Quelle erano le estati vere,
Il tempo vola così veloce.

Quando non sei qui con me,
Mi prende la paura.
Mi sveglio a ogni minimo rumore,
Perché credo che tu sia tornata.

Tu non lo senti,
Non conosci il tormento
Di quando ti fermi per la notte,
E la speranza sogna la solitudine.

Appena arrivi diventa autunno,
E poi ad un tratto inverno,
La terra e il mondo cambiano,
Il vento soffia neve.

Addio bei giorni felici!
Non sai quanto è bello senza di te.
Addio bei giorni felici!
Non sai quanto è bello senza di te.

E' ormai solo un ricordo
Quando non c'eri ancora.
Quelle erano le estati vere,
Il tempo vola così veloce.

Il momento più bello è quando ci salutiamo,
E tu sali sul treno,
Con le lacrime agli occhi penso:
Speriamo che non lo perda!

Addio bei giorni felici!
Non sai quanto è bello senza di te.
Addio bei giorni felici!
Non sai quanto è bello senza di te.

Per il testo in ungherese vedete qui.

mercoledì 7 dicembre 2011

Un punto di vista svedese sull'avvocatura italiana

La settimana scorsa mi è capitato di trovare un articolo molto interessante sugli avvocati italiani, pubblicato sul sito di un giornale svedese. Aftonbladet forse non è il giornale più prestigioso della Svezia, ma questo articolo, effettivamente, descrive la realtà. Fa parte di una serie di cronache scritte da Peter Kadhammar che si è preso l'impegno di fare il giro delle capitali dei paesi europei più afflitti dalla crisi economica. Il suo giro comprende, quindi, una sosta ad Atene, a Roma, a Madrid ed a Lisbona (mica male come gitarella...). In Italia ha scritto cinque articoli, tra cui quello che mi ha attirato l'attenzione in modo particolare. In pratica il giornalista svedese ha accompagnato un giovane avvocato italiano in tribunale e ha seguito la sua giornata di lavoro.


Insieme a Giulia di Piccoli Vichinghi abbiamo tradotto in italiano l'intero articolo (in realtà il grosso del lavoro è stato fatto da lei, io ho dato una mano più che altro con i termini giuridici), così lo può leggere anche chi non capisce lo svedese. Ecco la traduzione:

Roma, Italia: mentre gli avvocati fanno la coda, gli affari stagnano

Una mattina il giovane avvocato Pierpaolo Pomes ci porta in giro per il tribunale civile di Roma. È una visita ai gironi dell'Inferno. Infatti, gli avvocati chiamano uno degli uffici proprio l'Inferno. Si trova nello scantinato dove vengono emessi i decreti ingiuntivi.
È l'inferno perché gli avvocati devono aspettare, aspettare e aspettare in coda. Lo studio di Pierpaolo, avveduto, serio, specializzato in diritto del lavoro, ha assunto un avvocato il cui compito principale è di fare la coda. Come è possibile che si consegua un titolo universitario solo per finire in fondo ad una lunga fila di persone che devono ritirare delle carte?
La risposta è semplice. Con una burocrazia abbastanza complicata e ostile, le forze contro questo ostacolo devono essere massicce, enormi, come un'armata che si lancia all'assalto attraverso il campo di battaglia contro il fuoco nemico. Alla fine qualcuno riuscirà a sopravvivere e a raggiungere l'obiettivo! Solo la città di Roma ha un'armata di 23000 avvocati. Tanti quanti in tutta la Francia. In Svezia ci sono 5 000 avvocati.

Pierpaolo ha studiato all'università e ha fatto pratica all'estero. Giù all'inferno, all'ufficio dei decreti ingiuntivi, una volta stette in coda ad uno sportello per due ore. Doveva ritirare un decreto che il tribunale avrebbe benissimo potuto spedire per posta. Ma il tribunale non lo fa.
Quando fu il turno di Pierpaolo, l'impiegata allo sportello gli disse che aveva fatto la coda sbagliata. - Ritorni un altro giorno! Patapum.
Pierpaolo ha una risata che ricorda quella della stella del cinema Peter Sellers. Gli viene naturale. E' un uomo pacato. A proposito della sua attesa inutile dice solo: "È triste...".
Un altro giorno dopo aver fatto la coda si presentò all'impiegata dello sportello. Doveva registrare un atto di citazione per conto di una società contro un'altra. L'impiegata guardò le firme e, con aria visibilmente irritata, chiese: "E chi mi dice che queste firme sono autentiche?"
Fu troppo anche per il giovane avvocato, che minacciò di chiamare la polizia se l'impiegata non avesse accettato e registrato i documenti.
Giriamo per i corridoi, da edificio ad edificio nel quartier generale della giustizia. Dappertutto c'è molta attività: gli avvocati si affrettano, attendono, fanno la coda, parlano tra loro. Anche i loro clienti si affrettano, attendono, fanno la coda e parlano tra loro. I particolari cambiano continuamente ma nell'insieme è tutto fermo.
Incontriamo una collega di Pierpaolo che sta aspettando dalle 8.40 del mattino. Ora sono le 12.15.  Si torce dall'irritazione, sta per scoppiare. Sta aspettando per sapere quando sarà la prossima udienza per la sua causa. Tra quattro mesi? Sei? Che giorno? Che ora?
Anche queste informazioni si potrebbero inviare per posta, ma perché mai il tribunale dovrebbe prendersi questo disturbo? Gli avvocati possono fare la coda!
In una sala delle udienze siede un giudice con uno spesso maglione blu e gli occhiali che pendono sopra la pancia da un cordicella. Le parti stanno chinate sulla sua scrivania. Indossano le toghe. Dietro di loro, in coda, altri aspettano di sottoporre il proprio caso al giudice.
Un'udienza può richiedere da 30 secondi a due ore. Ma un'udienza è solo una parte di un processo molto, molto lungo. Ecco un abbozzo schematico del purgatorio di un avvocato. Prendiamo per esempio una società che fa causa a un'altra società:

Coda di due ore per registrare l'atto di citazione.
Attesa di 10 giorni per avere la data della prima udienza che sarà di regola dopo 6 mesi.
Coda di 30 minuti alla cancelleria del giudice per ritirare l'atto. Fare una copia della decisione sulla data dell'udienza.
Attesa di 30 minuti per autenticare la copia.
Coda per la notifica 2-3 ore.
Coda all'udienza da 30 minuti a 4 ore.
Udienza di dieci minuti. Il giudice sente i testimoni, chiede i documenti e… "Ci rivediamo tra 5 mesi."
Nuova udienza dopo 5 mesi. Sentenza: La società X deve pagare 10 000 euro di risarcimento.
Dopo alcune settimane viene depositata la motivazione della sentenza. L'avvocato sta in coda per un'ora per ritirarla.
Coda per fare una copia autentica della sentenza. Un'ora.
Coda all'ufficio che appone la formula esectuvia sulla sentenza. Due-tre ore.

Ho sicuramente dimenticato qualcosa. Ma diciamo che un avvocato aspetta in coda - in coda, cioè non studia, argomenta, ricerca né si occupa del caso - per 13 ore. Per un singolo caso. Questo spiega come mai a Roma ci siano 23 000 avvocati.
L'esempio sopra non esagera per niente.
Lo studio di Pierpaolo aveva come cliente un allenatore di tennis a cui fu riconosciuto una somma di 300 000 euro dal suo datore di lavoro a titolo di mancata retribuzione tra il 1975 e il 2004. Aveva anche diritto agli interessi. Un caso complicato. La motivazione della sentenza arrivò dopo 26 mesi!
Questo era naturalmente inaccettabile. Lo studio di Piepaolo ha chiesto un risarcimento allo stato. Il processo è iniziato nel 2008 ed è tuttora in corso.
Oppure prendi l'azienda di caffè che è stata condannata per aver licenziato 15 dipendenti senza giusta causa. Il processo è durato nove anni. Se una delle parti avesse presentato appello sarebbe durato due o tre anni di più. Forse ancora di più.
- Mi sento… impotente... quando sono in coda, dice Pierpaolo.
Non è solo lui ad essere impotente. Il sistema giudiziario italiano è così lento da divenire una minaccia per l'economia della nazione. La Banca Mondiale colloca l'Italia all'87esimo posto nel mondo per quanto riguarda il clima imprenditoriale. Il paese che ha dato al mondo la Ferrari e la Fiat finisce tra la Mongolia e la Giamaica (la Svezia è il numero 14).
Riguardo la possibilità di far rispettare un contratto scritto, l'Italia è al 158 posto su 183, solo due posizioni sopra l'Afganistan ed un bel po' sotto il Sudan (la Svezia è il numero 54).

- Il sistema giudiziario crea insicurezza negli affari, dice Pierpaolo. Un imprenditore non può vivere nell'incertezza per anni, che abbia ragione o torto. Questo paralizza l'economia.
Paolo ha scelto di fare il giurista perché gli piace il ragionamento limpido e logico. Gli chiedo se veda ancora così il diritto. Risponde: - Essere avvocato è vedere le funzioni della società nella loro forma più pura.

Commento mio: purtroppo il giornalista non esagera nella descrizione dei fatti. A Firenze la situazione è meno pesante che a Roma, città più piccola, meno cause, giudici un po' più organizzati (in quanto per esempio la data dell'udienza e la motivazione della sentenza vengono inviate per fax allo studio dell'avvocato), ma i problemi sono gli stessi.